Pechino a confronto vent’anni dopo 2000 - 2025

Lorenza Marini

Come tanti sanno ho vissuto a Pechino dal 2000 al 2006, divisa tra università e lavoro, ho osservato una città in ebollizione. Oggi, a quasi vent’anni di distanza, il pranzo con Andrea – amico di quegli anni, da poco tornato nella nostra amata Pechino – diventa una lente per decifrare un Paese trasformato. Le sue riflessioni rivelano un puzzle complesso: efficienza digitale senza precedenti, autarchia tecnologica, ma anche un controllo sociale che sfiora la distopia.

 

Cerco di schematizzare quanto mi ha detto Andrea


L’universo parallelo delle app: comodità e prigione digitale


La prima rivoluzione è invisibile ma pervasiva: WeChat e Alipay governano ogni gesto. Pagare un caffè, prenotare un treno, mostrare un documento? Tutto con il telefono. "Ho provato a comprare l’acqua sul treno Pechino-Shanghai con la mia carta italiana: impossibile", racconta Andrea. Un ecosistema chiuso che esclude gli stranieri, noi Laowai 老外, a meno di adottare SIM cinesi e app locali. La comodità ha un prezzo: ogni click lascia tracce, legate all’identità digitale. I cinesi accettano il compromesso, gli expat ricorrono alle VPN, mentre i giornalisti stranieri – categoria "non residente" – non possono neanche aprire un conto bancario.

 

La grande sostituzione: I brand occidentali arretrano

 

Negozi Starbucks resistono, ma nelle strade dominano BYD, Huawei, Xiaomi. "Vent’anni fa le auto tedesche erano status symbol. 
Oggi i taxi sono BYD elettriche, con batterie sostituibili in 3 minuti", spiega Andrea. I manager europei? "Tollerati finché servono, poi sostituiti da locali".

 

Xi Jinping e la riscrittura del patto sociale


Gli anni 2004-2009 furono l’"età dell’oro": PIL al 10%, censura presente ma non asfissiante. "Con Hu Jintao si sperava in aperture", ricordo. La crisi del 2008 cambiò tutto: il crollo di Wall Street divenne la prova del fallimento occidentale. Le proteste contro la fiaccola olimpica a Londra e Parigi alimentarono un nazionalismo tossico – "L’Occidente vuole umiliarci" – terreno fertile per l’ascesa di Xi.

Oggi la narrativa ufficiale dipinge l’America come un paese di "senzatetto, migranti e tossicodipendenti", mentre Pechino vanta metrò sicuri e aria più pulita (grazie allo smantellamento delle fabbriche post-2008).
Ma il debito USA (120% del PIL) preoccupa i ricchi cinesi, i cui patrimoni sono ancora legati al dollaro.

Il paradosso Xi: Promuove un anticonsumismo maoista – "la casa è un bene sociale, non speculativo" – mentre BYD sfida Tesla. Chiude ai giganti tech stranieri, ma costruisce un’egemonia tecnologica globale.


Giornalisti sotto assedio: la guerra all’informazione 

 

"Oggi fare il corrispondente a Pechino è una missione impossibile", denuncia Andrea. I casi:
- Molestie quotidiane: Controlli, interrogatori, divieti di accesso.
- Collaboratori sotto tiro: I fixer locali subiscono pressioni, molti abbandonano.
- Espulsioni accelerate: La pandemia ha offerto il pretesto per espellere giornalisti da Canada, Australia, USA. Un colosso mediatico americano è passato da 15 corrispondenti a zero.

Effetto nebbia: Senza fonti dirette, l’Occidente legge la Cina attraverso analisti spesso prevenuti che non risiede più in Cina. "Si crea un circolo vizioso: i media esteri demonizzano Pechino, che reagisce censurando ancora di più", mi spiega Andrea. Intanto, l’80% dei giornalisti accreditati a Pechino viene da paesi emergenti, molti pagati per ritratti edulcorati.

 

La crisi economica: errori strutturali e resilienza


Peter Chen, economista di Taipei, è netto: "Il rallentamento cinese non è ciclico, ma voluto da Xi".
Le cause:
- Nomine politiche, non meritocratiche: I leader sono scelti per fedeltà, non competenza.
- La trappola del 2008: I 4.000 miliardi di renminbi pompati nell’economia crearono megalopoli fantasma e debiti tossici (soprattutto con la Belt and Road).
- La crociata contro il privato: La repressione di Alibaba e Didi ha spento gli entusiasmi degli investitori.

Il paradosso taiwanese: "A Taipei nessuno sogna il crollo cinese", racconta Andrea. Foxconn e TSMC dipendono dal mercato continentale. Un deputato locale lancia un appello all’Italia: "Non lasciateci soli, siamo la democrazia più avanzata d’Asia".


Protezionismo e nuova Guerra Fredda: la partita globale 


La risposta occidentale? Dazi e friend-shoring. Trumpzilla ha alzato le barriere a livelli folli sulle auto elettriche cinesi, la Germania punta sugli USA come primo partner commerciale. Pechino reagisce aprendo fabbriche in Messico, come fece il Giappone negli anni ’80.

 

Il tallone d’Achille: La Cina ha bisogno dell’Occidente per semiconduttori e mercati, l’Occidente per batterie e tecnologie verdi. Ma il vero rischio è la disinformazione: "Se i giornalisti non entrano, le analisi si basano su stereotipi", avverte Andrea.

 

E quindi mò che famo?

 


La Cina ipercinetica tra fragilità e ambizioni globali –

L’Occidente deve correre, non temere

Guardare la Cina oggi, dopo vent’anni di trasformazioni radicali, è come osservare un motore turbocompresso: genera un’energia impressionante, ma surriscaldato, rischia di consumare se stesso. Andrea ed io, che l’abbiamo vissuta nell’era della sperimentazione post-Mao Deng Xiaoping, sappiamo una cosa: questo Paese è inarrestabile perché non può permettersi di fermarsi.
Nel 2000, Pechino era un cantiere di possibilità; oggi è un algoritmo perfetto di controllo ed efficienza.
Ma secondo me è proprio questa ossessione per il progresso a nascondere le crepe.

 

La trappola demografica e il paradosso tecnologico


Il vero vulnus non è il PIL che rallenta, ma la bomba a orologeria demografica: una generazione di figli unici diventa genitore in un Paese dove i neonati sono sempre meno (tasso di fertilità a 1.09) e gli over 60 supereranno il 30% entro il 2035.
La bolla immobiliare, con intere città fantasma, è solo il sintomo di un modello che ha sacrificato il futuro per il presente.
Eppure, mentre l’Europa discute di non ho capito cosa, la Cina costruisce stazioni spaziali e domina il 60% del mercato globale delle batterie. Noi abbiamo perso il treno dell’intelligenza artificiale , loro addestrano algoritmi su dati di 1,4 miliardi di cittadini senza vincoli sulla privacy. Chi ha ragione…

 

Il dilemma europeo: servi o rivali?


Lo so tantissimi di Voi non saranno d’accordo con me ma

L’Europa rischia di diventare un museo a cielo aperto della civiltà industriale, mentre Pechino e Washington si spartiscono il futuro. Gli Stati Uniti puntano sul contenimento (dazi, chip act), ma sono prigionieri del debito e delle divisioni interne.
La Cina, invece, gioca una partita secolare: la Belt and Road non è un progetto infrastrutturale, ma un rito di iniziazione per Paesi che, dal Sud-Est asiatico all’Africa, vedono in lei l’unica alternativa al FMI.

Eppure, Pechino è sola: i suoi “alleati” sono clienti impoveriti (Pakistan, Laos) o partner di convenienza come la Russia, destinata a diventarne un vassallo energetico.
Mosca fornisce petrolio scontato, in cambio di tecnologia e valuta pregiata: un matrimonio ineguale che ricorda l’Urss e Cuba negli anni ’70.

 

Il rischio autarchia: quando l’orgoglio diventa una gabbia


Xi Jinping sogna una Cina autosufficiente ma MCGA invece di MAGA ihih  ma l’innovazione ha bisogno di contaminazione.
Senza semiconduttori taiwanesi e olandesi, anche BYD si ferma. Senza i capitali di Wall Street, il renminbi resta una valuta regionale.


La forza della Cina è stata proprio la sua ibridazione: il socialismo con caratteristiche cinesi è un Frankenstein che funziona perché ha rubato pezzi al capitalismo.

Oggi, la chiusura rischia di trasformare il Paese in una versione high-tech della Corea del Nord.

 

Allora cosa può davvero fare l’Europa?
Smetterla di essere così naif


Secondo la mia immensa ignoranza ma mente ribelle, noi europei abbiamo due vie: continuare a essere compratori passivi della tecnologia cinese (dalle auto elettriche ai droni) o scommettere su una terza via.
Non protezionismo ottuso, ma un nuovo umanesimo industriale.

L’Italia, per esempio, potrebbe trasformare il made in Italy in un “tech made in Italy”, coniugando design e intelligenza artificiale. Serve un piano Marshall per l’innovazione, non per riparare ponti, ma per costruire cervelli.

La profezia di Andrea: “Vincerà chi accetterà di cambiare pelle”
Andrea, da vecchio sinologo, chiude con un monito: “La Cina ha imparato a mangiare amarezza per millenni, noi occidentali ci scandalizziamo per uno sciopero dei treni.
Ma la storia premia chi sa essere flessibile.
Se Pechino non ammorbidisce il controllo sociale, esploderà.
Se l’America non smette di credersi l’unico faro del mondo, affonderà.
E l’Europa? Deve smetterla di piangersi addosso e tornare a essere quello che era prima delle scoperte geografiche: un laboratorio di futuro”.

 

Il XXI secolo sarà scritto in mandarino e inglese ecco perché ho deciso di studiare cinese e lo consiglio ai Vostri figli magari con me come insegnante ihih

ma per non diventare una nota a piè di pagina,

serve una lingua terza: quella della complessità.
Perché la Cina non è un mostro da fermare, ma uno specchio distorto delle nostre paure.
E in quello specchio, se guardiamo bene, c’è il volto di un Occidente che ha dimenticato come si corre.

 

Il dialogo necessario tra Oriente e Occidente –

Chi ha inventato cosa?

Se chiedessimo all’intelligenza artificiale di elencare le più grandi invenzioni dell’umanità, scopriremmo un mosaico in cui Oriente e Occidente si alternano come protagonisti.

La verità è che nessuna civiltà ha il monopolio del genio.
Ecco un confronto sintetico, ma rivelatore 

COPIO INCOLLO DA CHATGTP 

Invenzioni occidentali:
1. Antibiotici (Alexander Fleming, 1928): La penicillina ha debellato pestilenze che per millenni falcidiavano l’umanità.
2. Vaccini (Edward Jenner, 1796; Jonas Salk, 1955): Dal vaiolo alla poliomielite, miliardi di vite salvate.
3. Luce elettrica (Thomas Edison, 1879): Ha illuminato le notti, trasformando il ritmo della vita umana.
4. Telefono (Alexander Graham Bell, 1876) e Televisione (John Logie Baird, 1926): Hanno rivoluzionato la comunicazione.
5. Internet (Tim Berners-Lee, 1989): La rete globale, figlia del CERN e della Guerra Fredda, oggi colonna vertebrale della civiltà.
6. Motore a scoppio (Nikolaus Otto, 1876) e Aereo (Fratelli Wright, 1903): Hanno ridisegnato distanze e possibilità.

Invenzioni orientali:
1. Polvere da sparo (Cina, IX secolo): Usata prima per fuochi d’artificio, poi per cannoni, cambiò per sempre la guerra.
2. Carta (Cai Lun, Cina, 105 d.C.): Senza di essa, niente libri, burocrazie o Rinascimento europeo.
3. Bussola (Cina, Han dynasty, II secolo a.C.): Rese possibile l’era delle scoperte geografiche, guidando le navi europee.
4. Stampa a caratteri mobili (Bi Sheng, Cina, 1040): Antenata di Gutenberg, permise la diffusione del sapere.
5. Seta (Cina, 3000 a.C.): La “via della seta” fu il primo ponte economico globale.
6. Agopuntura (Cina antica): Un sistema di medicina olistica che ancora influenza la scienza moderna.

 

Il paradosso del presente: serve un nuovo Rinascimento


Questo elenco dimostra una verità scomoda: il progresso nasce dall’ibridazione.
La Cina medievale donò all’Europa la bussola, l’Europa illuminista restituì i principi della scienza sperimentale.
La butto lì …
Oggi, mentre Pechino domina le batterie e i droni,

l’Occidente potrebbe sperimentare l’IA quantistica e la fusione nucleare.
Ma nessuno può vincere da solo.

I rischi del futurocambiamento climatico, etica dell’intelligenza artificiale, crisi demograficherichiedono un nuovo contratto tra civiltà.

La Cina, con la sua bulimia tecnologica, deve evitare l’autarchia. L’Occidente, con il suo know-how millenario, deve smetterla di vivere di rendita.

Andrea lo riassume così: «Se la penicillina e la polvere da sparo avessero viaggiato insieme sulla Via della Seta, oggi avremmo un mondo diverso. Forse migliore».

Il futuro non è una gara tra chi ha più brevetti, ma tra chi saprà mescolare meglio le eredità.

Perché, come scriveva Lu Xun: «Più una civiltà è forte, più osa rubare dal fuoco altrui».

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